La veterana Clara Podda: «E pensare che al tennistavolo preferivo il nuoto e la scherma»
Del quintetto di atleti che si è qualificato per le Paralimpiadi di Rio, Clara Podda è sicuramente la veterana. Non per niente la sua sarà la quinta partecipazione consecutiva ai Giochi nel tennistavolo, la sesta considerando quella di Atlanta 1996 nel nuoto.
Clara, il nuoto è stato il tuo primo amore?
«In effetti, pur essendo nata a Cagliari e dunque su un'isola, avevo il terrore dell'acqua, che ho vinto imparando a nuotare, perché era utile alla mia salute, e capendo che non bisogna aver paura di nulla. Detengo ancora il record dei 50 dorso».
Come è entrato il tennistavolo nella tua vita?
«Ero alla Fondazione Santa Lucia, a Roma, e c'erano tutti gli sport. Assieme al nuoto praticavo la scherma e condividevamo la palestra con il tennistavolo. L'allenatore Angelo Franchi, che è stato anche il ct della Nazionale paralimpica, a forza di dirmi di provarlo mi ha convinto. Ho iniziato a giocare con lui nel 1999, così tanto per accontentarlo. Esistevano tre prove di ammissione ai Campionati Italiani e a Mazara del Vallo ho vinto tutto, qualificandomi ai tricolori, dove ho conquistato il titolo. Massimo Bernardoni, il tecnico azzurro, mi ha subito convocato e ho disputato, sempre nel '99, gli Europei di Bratislava, aggiudicandomi una medaglia e guadagnandomi il posto per le Paralimpiadi di Sydney. Però la scherma per me rimaneva più importante».
Quando hai dovuto scegliere?
«Mi sono qualificata in entrambe le discipline per andare ad Atene nel 2004 e ho deciso di continuare con il tennistavolo. Non mi pentirò mai di averlo fatto, perché ormai mi è entrato nel sangue».
È vero che ti piace sperimentare i nuovi materiali?
«Ogni tanto decido di provare delle gomme nuove, sempre puntinate. Sono nata con un puntino lungo sul rovescio. Quando faccio le gare, però, utilizzo il materiale di allenamento, anche se una volta ho fatto il cambio due mesi prima e ho vinto l'oro agli Europei di Kranjska Gora».
Quali sono i tuoi flash più belli alle Paralimpiadi?
«Certamente le due medaglie di Pechino, l'argento a squadre e il bronzo nel singolo. A Londra siamo state quarte con il team e nel singolo sono stata penalizzata dal sorteggio, perché nel girone ho trovato subito la cinese Jing Liu, che era la campionessa uscente e avrebbe bissato il successo. Già a Pechino ero stata sfortunata e l'avevo affrontata in semifinale».
Cosa ti permette di lottare alla pari con atlete più giovani?
«Mi alleno moltissimo e in partita do il meglio di me e ci metto tutta la grinta del mondo. Cerco di fare ciò che mi insegnano. Devo ringraziare Alessandro Arcigli, perché un altro direttore tecnico come lui non esiste sulla Terra. Mette tutto sé stesso nel tennistavolo, è sempre in giro per l'Italia e non si risparmia in nulla. Vedere noi che vinciamo è la sua ricompensa migliore».
Ti aspettavi di andare a Rio?
«Non è stata una sorpresa, perché prima di partire per gli Europei ero la quinta al mondo. Da giugno ad agosto, però, sono stata malissimo, per un'epicondilite dalla quale pensavo di non riprendermi. A settembre poi ho ricevuto la notizia che il Santa Lucia aveva chiuso tutti gli sport. Non potevo pensare che non sarei più andata ad allenarmi lì. Sono comunque stata fortunata, perché ho trovato un'altra società, L'Isola che non c'era, dove sono stata accolta da persone fantastiche. Posso di nuovo guardare avanti e sono felice anche per loro di essermi qualificata a Rio».
Ci andrai con quali ambizioni?
«Ora voglio pensare solo ad allenarmi, mancano più di sette mesi ai Giochi. Mettiamo il seme e quando sarà il momento vedremo che frutti darà».