Massimiliano Mondello: «Orgoglioso di essere rientrato in Federazione»
Con i suoi 33 titoli assoluti, 10 individuali, 8 in doppio, 4 nel misto e 11 scudetti a squadre, è l'atleta italiano più vincente di sempre. Ha anche disputato due finali e tre semifinali di Coppa Campioni. Massimiliano Mondello è stato per quasi 20 anni uno dei perni della Nazionale azzurra, con la quale ha collezionato 350 gettoni e vinto lo storico bronzo a squadre ai Mondiali di Kuala Lumpur del 2000, oltre all'argento in doppio ai Giochi del Mediterraneo del 1993 con Lorenzo Nannoni. Ha anche partecipato alle Olimpiadi di Atene del 2004 e raggiunto la 69ª posizione nel ranking mondiale. La bella novità è che "Max" o "Mondy", come viene soprannominato nell'ambiente, torna in FITeT. Sarà infatti il testimonial federale e s'impegnerà per promuovere il nostro sport e per aiutare a crescere chi già lo pratica. Il suo amore per il tennistavolo è nato parecchio tempo fa.
Ciao Max, cosa ricordi di quel periodo?
«Vivevo in un paesino vicino a Vibo Valentia, che si chiama Piscopìo, e c'era una piccola società con un tavolo da tennistavolo e un pallone. Avendo mio fratello maggiore Gerardo che giocava già a ping pong ed era campione regionale, è stato facile per me, a sei anni, scegliere la racchetta. Passavo con lui del tempo al pomeriggio e al Centro Garibaldi, se vogliamo, è iniziata la mia carriera».
Quando sono arrivate le prime vittorie?
«A dieci anni mio fratello e altri componenti della squadra dovevano andare a Napoli, a disputare un torneo interregionale. Un ragazzo era però caduto dal motorino e si era fatto male. Siccome avevano bisogno di un terzo, hanno portato me. Sono andato per fare numero e invece ho vinto singolo, doppio e misto. Era presente alle gare Nunzio Sorrentino, che in vista dell'apertura del Centro Federale di Fiuggi, ha preso informazioni su di me. Ha parlato con mio padre e l'anno dopo sono entrato a Fiuggi. Ho in pratica aperto il Centro e l'ho pure chiuso, con Guido Aliberti e Vittorio Collalti, che con me si sono poi trasferiti a Terni».
Il tuo debutto in azzurro è stato precocissimo. Quanti anni avevi?
«Solo 13, mi ha fatto esordire Milan Stencel nel match contro l'Austria. I primi Mondiali sono stati a Chiba nel 1991 a 16 anni».
Riesci a fissare una vittoria speciale ottenuta in Nazionale?
«Ce ne sono molte, ma penso che il successo più significativo sia stato quello ottenuto su Jörgen Persson, nella semifinale mondiale contro la Svezia. Eravamo davanti a tremila persone e il mio avversario era stato iridato in singolo, in doppio e a squadre e al momento della sfida era il numero 9 al mondo. Un altro ricordo particolare è legato all'ultimo match che fece il grande francese Jean-Philippe Gatien alle qualificazioni olimpiche di Linz, in Austria, nel 2004. Lo battei e andai avanti nel tabellone, dove poi perdetti dal cinese Feng Zhe, risultando secondo fra i non ammessi. Grazie però a Yang Min, che si era qualificato in singolare, fui convocato per giocare il doppio con lui ad Atene».
Che flash hai di quei Giochi?
«Molto belli. Facevamo colazione con campioni del calibro di Giovanna Trillini, Andrea Giani e Jury Chechi. Una mattina ero con la Tan Monfardini e mi sono girato. Alle mie spalle c'era un gigante enorme, il cestista cinese Yao Ming. Temendo il peggio l'ho saluto con un "My friend". L'Olimpiade è stata veramente la ciliegina sulla torta della mia carriera».
I 10 titoli italiani di singolare hanno fatto la storia.
«Quando sono arrivato a nove, e ho superato Massimo Costantini con otto, avrei voluto smettere. Patrizio Deniso mi ha convinto e fare cifra tonda e a raggiungere i dieci. A 31 anni ho deciso di non partecipare più ai tricolori e l'anno dopo ho dato l'addio alla maglia azzurra. A dire la verità mi sono un po' pentito e, se avessi potuto tornare indietro, qualche anno in più lo avrei fatto. Penso che avrei potuto ancora dare molto».
Quali sono stati gli allenatori più importanti per te?
«Ne ho avuti parecchi, ma quelli fondamentali sono stati il croato Milan Stencel, Patrizio Deniso e il cinese Cai Zhenhua, che ha guidato la Nazionale dal 1985 al 1989 e oggi è il presidente della Federazione Calcio nel suo Paese».
Cosa ti ha permesso di arrivare così in alto?
«Sicuramente il carattere, perché non avevo paura di nessuno. Avevo anche un'ottima tecnica, specialmente di rovescio, e una notevole potenza, tanto è vero che mi chiamavano "mano di pietra" e mi dicevano che quando giocavo si sentiva la vibrazione della racchetta».
Come ti trovi nelle vesti di tecnico?
«Bene. Ho cominciato a 36 anni, andando a San Giustino, e dopo un anno sono stato per tre stagioni alla Marcozzi Cagliari e qualche mese a Norbello. Alla Marcozzi abbiamo vinto 20 medaglie ai Campionati Italiani giovanili, con 15 ori, e Carlo Rossi e Alessandro Baciocchi si sono aggiudicati il titolo di singolare di terza e seconda categoria con me in panchina. Da un anno e mezzo ho un'Accademia a Valmontone. Il mio socio Claudio Loreti mi ha proposto questa idea, che era il mio sogno, e quasi tutti i ragazzi laziali vengono ad allenarsi da me. Stiamo creando un bel movimento».
Chi potrebbe essere il tuo erede?
«Vedo bene Rossi e in lui mi ritrovo per il carattere, il talento e la tecnica. È uno che ha anche fantasia. Deve crescere e potenziarsi fisicamente. Nel femminile mi piacciono Jamila Laurenti, Miriam Carnovale, che è già una "Mondellina", Nicole Arlia e Gaia Smargiassi».
I rapporti con la FITeT non sono sempre stati positivi.
«È vero e sono felice dell'arrivo al vertice del presidente Renato Di Napoli. Ha capito che con la mia esperienza posso essere utile al tennistavolo italiano. Sarò il testimonial della Federazione e in questa veste sarò presente alle manifestazioni e alle altre occasioni di rappresentanza. Nell'ambito del Progetto Italia seguirò i tecnici nelle visite alle società sul territorio, per vedere come lavorano».
Di cosa ti occuperai?
«Monitorerò i ragazzi e parlerò con i loro coach, per cercare di condividere le loro scelte d'insegnamento. Quando i giovani entrano al Centro Federale devono già avere acquisito delle qualità solide, che li agevolino nei loro miglioramenti. Sono orgoglioso di questo nuovo ruolo federale, che mi permette di tornare a casa, anche se spero in futuro di avere la possibilità di allenare la Nazionale».