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I sei anni in Nazionale di Valentino Piacentini: «Con l’oro di Andrea Puppo ho chiuso il cerchio»

Di ROBERTO LEVI

I sei anni in Nazionale di Valentino Piacentini: «Con l’oro di Andrea Puppo ho chiuso il cerchio»
L'abbraccio con Andrea Puppo dopo la conquista dell'oro agli Europei

Da quando a 10 anni è entrato in un Centro Federale, ne ha vissuti ben 30 nel mondo del tennistavolo. Gli ultimi sei, trascorsi da Valentino Piacentini alla guida dei cadetti azzurri, sono stati molto intensi. Un periodo ricco di soddisfazioni, tanto è vero che ha fruttato la conquista di ben 35 medaglie fra Campionati Europei e Open internazionali. Il bilancio è stato di otto ori, dodici argenti e quindici bronzi. La conclusione è avvenuta in bellezza, con l’oro nel doppio misto di Andrea Puppo con la russa Arina Slautina, seguita dal suo coach Sergey Vlasov, nella rassegna continentale di Cluj-Napoca, in Romania. «Quando mi è stata proposta l’opportunità in Nazionale - ricorda Piacentini - avevo vinto il campionato con il Città di Siracusa, assieme a Mihai Bobocica e a Daniel Zwickl e con Patrizio Deniso in panchina. Prima ero stato all’A4 Verzuolo, dove ora ricomincerò. Giocavo e allenavo e dunque avevo già alle spalle tre stagioni da tecnico, della squadra di serie A1 e del settore giovanile. Anche nella stagione di Siracusa seguivo dei ragazzi. A offrirmi di entrare nello staff azzurro giovanile è stato Deniso, сhe era rientrato come direttore tecnico. Mi ha chiesto se me la sentissi. In quel momento ero ancora un atleta e avrei potuto continuare, ho ritenuto però сhe questa nuova esperienza sarebbe stata importante per me. A posteriori, sono veramente contento di averla fatta».

Il gruppo di lavoro è stato stimolante?

«Ha funzionato molto bene. Patrizio era il nostro mentore e con Lorenzo Nannoni, Antonio Gigliotti e, ultimamente, Massimiliano Mondello, siamo molto affiatati e abbiamo vissuto insieme fin da quando eravamo piccoli. Fra noi c’è una sintonia molto forte e a mio parere si tratta di un aspetto fondamentale quando ci si trova a collaborare con alcune persone tutti i giorni».

Art 07 Foto 2 Valentino Piacentini in panchina con Sergey Vlasov rdmValentino Piacentini in panchina con Sergey VlasovQuali sono stati i momenti più emozionanti?

«Posso dire che le gratificazioni maggiori siano state le quattro medaglie ottenute agli Europei e dunque, in ordine temporale, a Riva del Garda 2014 il bronzo in doppio di Daniele Pinto e Carlo Rossi, a Bratislava nel 2015 l’argento a squadre di Matteo Mutti, Rossi, Gabriele Piciulin e John Michael Oyebode, nel 2016 a Zagabria il bronzo in singolare di Rossi e quest’anno a Cluj-Napoca l’oro nel misto di Andrea Puppo. Ho chiuso un cerchio, con un podio in ognuna delle quattro specialità».

Impossibile fare una graduatoria di valore?

«Se devo essere sincero, ho sempre considerato il misto la specialità meno importante, alle spalle del singolare, della squadra e del doppio. In questo momento, però, non scambierei l’oro di Andrea con nessun altro argento o bronzo. Vincere una gara continentale, sentire l’inno e poterlo cantare hanno un significato impagabile. L’emozione che ho provato grazie a questo successo è stata fortissima. L’abbraccio con Andrea al termine della finale è stato molto bello e intenso, anche perché nel corso del tempo si creano dei rapporti. Nel mio modo di lavorare ho sempre privilegiato i rapporti umani, prima ancora di arrivare a parlare di tecnica e tattica. Per raggiungere certi obiettivi, soprattutto sul fronte internazionale, ci vuole un feeling particolare, che non si improvvisa e va creato giorno dopo giorno, attraverso il confronto, discutendo anche e a volte facendo delle scelte dure. Un bravo allenatore, una volta in panchina, deve essere capace di dare dei buoni consigli, però, se non conosce a fondo l’atleta, rischia di offrire dei suggerimenti che siano giusti tecnicamente, ma non si adattino bene alla persona in quel momento».

Art 07 Foto 3 Valentino con Carlo Rossi Matteo Mutti John Michael Oyebode e Gabriele Piciulin agli Europei di Bratislava 2015 rdmValentino con Carlo Rossi, Matteo Mutti, John Michael Oyebode e Gabriele Piciulin agli Europei di Bratislava 2015In finale come siete riusciti a ribaltare la partita?

«Eravamo in grande difficoltà, perché, dopo aver vinto il primo set, avevamo ceduto il secondo e il terzo facendo pochissimi punti. Ci siamo guardati negli occhi con Andrea e gli ho chiesto di aggredire maggiormente con il rovescio le risposte ai servizi dei francesi. Se non ci fosse stato un rapporto forte fra noi, l’impatto di quelle parole non sarebbe stato lo stesso. Abbiamo lavorato insieme per tre anni, sempre in contatto anche con il suo allenatore Alessandro Quaglia, che ritengo uno dei tecnici più bravi esistenti in Italia. Quell’oro è stato la conseguenza dell’impegno di tutti, perché la Federazione ha avuto fiducia, Patrizio ha sempre creduto nel mio lavoro e anche Alessandro mi ha sempre aiutato».

Cosa ricordi degli inizi di questi anni in Nazionale?

«Ho trascorso le prime tre stagioni a Torino e mi sono occupato di Pinto, Piciulin, Nicholas Frigiolini, Elia Bonetti e anche di Antonino Amato, che ho indirizzato a fare del tennistavolo una scelta di vita, con la collaborazione di Ady Gorodetzky. Ho seguito anche Veronica Mosconi e in quell’anno, nel 2015 a Molfetta, si è aggiudicata il titolo assoluto di singolare».

Com’è invece nato il tuo rapporto con il Masters College di Ochsenhausen?

«Mi hanno chiamato il capoallenatore Michel Blondel e il manager Daniel Zwickl, perché piaceva loro il mio modo di lavorare. Per me questo è  stato un motivo d’orgoglio. Continuerò la collaborazione, non richiedendomi una presenza assidua sul posto. Carlo Rossi in questi anni si è allenato periodicamente in Germania e ora andrà a giocare là. Lo considero un primo obiettivo raggiunto».

Art 07 Foto 4 Piacentini con Simone Sofia allOpen dItalia 2018 rdmPiacentini con Simone Sofia allOpen dItalia 2018Degli allenatori che hai avuto, chi ti ha insegnato di più?

«Sono sempre stato molto attento a “rubare” il meglio a ognuna delle persone che ho avuto a fianco nella mia carriera. Deniso è stato colui che mi ha cresciuto e con il quale esiste un rapporto fortissimo. Oltre a lui ci sono stati Milan Stencel e Cai Zhenhua. Nelle società ho lavorato con Maurizio Errigo, Matjaz Sercer, il compianto Mihai Bobocica senior e a Ochsenhausen ho collaborato con Blondel e Dubravko Skoric. Ho una personalità abbastanza forte e non mi faccio condizionare molto facilmente. Ritengo però che l’influenza delle idee ci debba essere per arrivare ad avere delle proprie convinzioni. Un buon tecnico deve saper adattare ciò che sa alle caratteristiche dei vari atleti, deve essere flessibile e avere avuto molte esperienze alle spalle non può che giovare, al momento di prendere delle decisioni. Anche gli errori possono essere utili per migliorare».

Perché hai deciso di mettere fine alla tua esperienza in azzurro?

«Il lavoro in Nazionale è molto bello e gratificante, però è molto dispendioso dal punto di vista umano. Lavorare lontano da casa 15-20 giorni al mese e anche di più è  un sacrificio сhe si fa quando ci sono le condizioni o le motivazioni molto forti. Sinceramente sentivo la necessità di avvicinarmi alla mia compagna Monica e a mio figlio. In questo momento sul piatto della bilancia per me pesa maggiormente la crescita di Pietro, сhe ha un anno. Poterlo vedere e seguire tutti i giorni è fondamentale e ora avrò la possibilità di farlo, continuando a svolgere il lavoro сhe mi piace, in una società сhe è sempre presente e con persone che сonosco bene e con le quali mi sono sempre trovato a mio agio».

Art 07 Foto 5 Con Rossi Daniele Pinto Antonino Amato e Mutti a Riva del Garda 2014 rdmcon Rossi, Daniele Pinto, Antonino Amato e Mutti a Riva del Garda 2014Ti hanno contattato loro?

«Sì e ne sono stato felice, perché era proprio quello che cercavo, essendo Verzuolo una grande società di riferimento del panorama italiano, che ha saputo affermarsi nel corso di quarant’anni di attività. Avrò la responsabilità della prima squadra, la supervisione un po’ di tutto, un notevole impegno nel settore giovanile e poi chissà».

Intendi dire che potresti riprendere a giocare?

«Una grande passione mi lega a questo sport e magari disputerò qualche partita. Dovrei rimettermi un po’ in forma e poi potrei magari iniziare dalla serie B1 o dalla B2. Oltre a ciò sono entrato fra i veterani e potrei divertirmi anche in questo ambito. Come tecnico mi aiuterà Silvia Racca e poi ci sono persone che ruotano attorno al club come Marco Doria, Giovanni Damasco e Simone Nasi. A Verzuolo sono in molti, che hanno giocato o che giocano, a offrire il loro contributo. Il primo a dare l’esempio dell’impegno è il presidente Stefano Vincenti, che non cerca la vetrina e dedica tempo ed energia in maniera seria e onesta al tennistavolo».

Art 07 Foto 6 Fra Matteo Gualdi e John Michael Oyebode a Lignano Sabbiadoro nel 2017 rdmFra Matteo Gualdi e John Michael Oyebode a Lignano Sabbiadoro nel 2017Il tuo rientro coincide anche con il ritorno in A1.

«Avremo un compito difficile, ma ci proveremo fino alla fine. La nostra rosa è composta da Mattia Garello, Alessandro Baciocchi, Daniele Pinto e dall’ucraino Yaroslav Zhmudenko, che farà qualche partita. Alessandro si è infortunato e i tempi di recupero sono ancora incerti. Il primo obiettivo sarà la salvezza e poi vedremo, strada facendo, se potremo alzare l’asticella».

In futuro ti vedi di nuovo in Nazionale?

«Mai dire mai. Nella vita si fanno delle scelte, che sono legate alle situazioni del momento, poi quando le condizioni cambiano si possono anche riconsiderare. La maglia azzurra mi aveva regalato grandi emozioni da atleta e ne ho aggiunte altre da allenatore. Ora sono pronto a voltare pagina, sorretto sempre dall’amore che nutro per il tennistavolo».

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