Antonino Amato: «Lignano e la salvezza, grandi emozioni. Ora voglio il secondo titolo italiano juniores di singolare»
Le ultime sono state settimane di grandi soddisfazioni per Antonino Amato, che ha disputato un Open d'Italia trionfale a Lignano Sabbiadoro e ha contribuito in modo determinante alla salvezza della Top Spin Messina. Giocare con la società del presidente Giorgio Quartuccio gli ha permesso di tornare nella sua Sicilia, dalla quale si era allontanato all'età di 13 anni.
Antonino, che emozione è stata il pareggio contro il Lomellino?
«Fare i due punti decisivi per la salvezza mi ha regalato delle bellissime sensazioni. Era l'ultima chance che avevamo e in questo club mi sono trovato molto bene e tutti mi hanno fatto sentire e casa. Abbiamo praticamente già trovato l'accordo e il prossimo anno continuerò con loro».
Dopo lo 0-2 iniziale ti sentivi un po' teso, sapendo che l'eventuale rimonta sarebbe dipesa quasi tutta da te?
«Ero abbastanza teso, ma anche molto concentrato e duro, perché sapevo che avrei potuto farcela. Contro Margarone ero favorito e ho vinto per 3-2, in una sfida in cui ero piuttosto nervoso. Con Baciocchi, sul 3-2 sotto, eravamo alla resa dei conti e sono partito malissimo. Alessandro invece ha avuto un inizio ottimo e nel primo set mi ha preso a pallinate, rifilandomi un 11-3. Non mi sono scoraggiato, ho combattuto tutti i punti e messo qualche pallina di più in campo e alla fine lui un po' ha perso sicurezza e la partita è cambiata. Essere rimasto determinato e con la testa sempre nel match mi ha permesso di portarlo a casa, nonostante si sia lottato sul fino dell'equilibrio».
Sei soddisfatto dei tuo rendimento in campionato?
«Complessivamente sì, anche se in qualche occasione avrei potuto fare di più. Certamente la vittoria che mi è piaciuta di più è stata quella contro Rech, anche perché venivo da una settimana di febbre. Anche contro l'Apuania ero abbastanza debilitato e tutto sommato ho giocato bene».
Come mai ogni anno il tuo rendimento cresce con il passare dei mesi?
«Da febbraio in poi, nel periodo che comprende l'Open di Lignano e i Campionati Italiani giovanili, il mio livello si alza, perché ci sono più gare ed entro più facilmente in forma».
A proposito di Lignano, hai mostrato il migliore tennistavolo della tua vita?
«Penso di sì. Pur venendo da Riccione, dove non mi ero espresso bene, anche se avevo battuto Luca Bressan, che è la mia bestia nera, sentivo che avrei disputato un buon torneo. Lì mi trovo sempre bene e il pubblico mi aiuta molto».
La svolta per andare in finale è stato il quarto contro Hippler?
«Quella partita mi preoccupava un po', perché il tedesco è solido e gioca bene. Già nel primo set, che ho perso, avevo capito di avere delle possibilità, perché come tipologia di gioco si adattava molto alla mia. Faceva quello che piace a me, il gioco chiuso, corto-corto e pian piano nello sviluppo del match mi sono sentito molto a mio agio. Ho anche incominciato a tirare molto bene con il diritto, perché avevo tempo, e di lì in poi l'ho surclassato».
Com'è stata la semifinale con Johnny Oyebode?
«Per nulla facile a dispetto del 4-1 finale. Sull'1-1 nel terzo set ero sotto. Con Johnny sono sempre partite tirate, però alla fine la spunto, forse perché ho un po' più di esperienza».
La finale contro Kolodziejczyk è stata dai due volti?
«Ho dominato fino al 3-1 e 5-1 nel quinto set. Anche il parziale che ha vinto lui ero avanti per 7-3. Non aveva via di uscita. Ricordo benissimo quel punto del 5-1, in cui lui ha lanciato la pallina in aria, praticamente buttandola, ha preso lo spigolo e da lì ho avuto un blackout. Sono andato sotto ed è stato un problema venirne fuori. Mi sono smontato mentalmente e nel frattempo lui giocava meglio. Mi ha anche condizionato con le sue sceneggiate e sono stato sciocco ad abboccare e ad allentare la tensione. Da queste situazioni, però, s'impara e la prossima volta sarò duro fino alla fine».
La vittoria con Daniele Pinto in doppio ha confermato che siete una delle coppie di riferimento, almeno in Europa?
«Io e Dani quando giochiamo bene perdiamo da poche coppie in Europa. Rispetto agli altri siamo forti nel gioco chiuso. Sulle prime palline siamo superiori. La finale è stata impegnativa, eravamo sotto 2-1, però non abbiamo mollato e abbiamo rimontato. Kolodziejczyk e il thailandese Yanapong giocavano bene, ma nel corso del match avevo comunque la sensazione che avremo prevalso. Eravamo più organizzati e nel quinto set ci siamo gasati a siamo andati via».
Nella gara a squadre si sarebbe potuto fare qualcosa in più in finale?
«Assolutamente sì. Nel terzo singolare contro i tedeschi avrei dovuto vincere, anche se il mio avversario Meissner ha disputato un buon match, ha fatto le cose giuste e mi ha messo in difficoltà. Daniele ha avuto chance con Hippler, mentre Matteo Mutti contro lo stesso atleta non ne ha avute, dopo aver battuto Meng Fanbo. Loro sono arrivati alla finale più solidi mentalmente e questo secondo me ha fatto la differenza. Vuol dire che ci rifaremo agli Europei, dove conta di più».
All'inizio parlavamo del ritorno in Sicilia. Come hai deciso di lasciare Palermo a 13 anni?
«Tutto è cominciato dai Campionati Italiani giovanili del 2013. Ady Gorodetzky cercava un ragazzo per la squadra di B1 e Valentino Piacentini gli ha consigliato me. Ady ha visto in me una sorta di figlioccio, rosso di capelli come lui, con tanta grinta. Mi ha fatto la proposta e mi sono preso un po' di tempo per pensarci. L'ho detto ai miei e mia mamma Nadia all'inizio non era molto d'accordo, mentre papà Giovanni si è mostrato subito favorevole. Questa decisione per me è stata importante, perché non è stata solo una rampa di lancio nel tennistavolo, ma anche nella vita. Non vengo da una zona facile di Palermo e andare via è stata un'opportunità, che ho colto al volo».
Che ricordi hai dello Stet Mugnano?
«Sono stati tre anni bellissimi, in cui ho giocato la B1, la A2 e nella scorsa stagione la A1, prima del ritiro della squadra. Mi sono trovato benissimo in quel periodo, con Ady, i compagni Alessandro Di Marino, Maurizio Massarelli, Michele Izzo, Mattia Galdieri, Adeyemi Omotayo e l'allenatore Csaba Kun. Eravamo un bel gruppo e ci divertivamo anche, oltre a praticare il tennistavolo».
La tua crescita in classifica è stata esponenziale, vero?
«In pochi mesi sono passato da numero 400 e 70 d'Italia e ho chiuso il primo anno come seconda categoria».
Ady è stato un po' il tuo secondo papà?
«Esatto e ancora ora mi segue e mi fa da manager. Non ci siamo staccati e penso proprio che mai lo faremo».
Hai iniziato a giocare a Palermo?
«Sì, ma in modo non serio. Non mi allenavo, andavo in palestra e facevo partite. Questo è anche il motivo per cui mi gioco i match abbastanza bene rispetto ad alcuni miei coetanei. Fin da piccolo sono stato abituato ad affrontare gli atleti più vari e dunque mi adatto bene alle situazioni. Ho cominciato nel novembre del 2009, ho partecipato agli Italiani del 2010 e poi ho smesso per un anno e mezzo, perché giocavo anche a calcio, abbastanza benino. Poi un giorno sono rientrato in palestra per salutare gli altri, ho giochicchiato un po' e mi è tornata la passione. Ho ripreso e per un paio di anni ho svolto calcio e ping pong insieme».
A calcio in quale squadra militavi?
«In una provinciale e il mio ruolo era il trequartista. L'ultimo anno avrei avuto la possibilità di fare un provino con la Reggina, ma ho dato la preferenza al tennistavolo. Ancora oggi gioco spesso al calcio per divertirmi».
In questo momento il tuo mirino è puntato sugli Italiani?
«Certamente e l'obiettivo è di confermare l'oro in singolare e conquistare qualche altra medaglia, in doppio con Gianluca Zaccone e a squadre con Gianluca e Claudio Rampello. Sarebbero risultati che farebbero bene alla Top Spin e anche a me».
L'anno scorso in singolare non eri il favorito.
«In finale il pronostico era dalla parte di Daniele Pinto, però era da qualche mese che preparavo quella gara e sono arrivato molto in forma. La semifinale contro Bressan è stata molto dura, la sfida per il titolo meno, dal momento che Dani in quel periodo non si stava esprimendo ai suoi massimi livelli».
Questa volta come vedi la situazione?
«A mio parere non c'è un favorito, ma piuttosto un gruppo, e io, Matteo Mutti, Daniele e Carlo Rossi abbiamo più chance degli altri di vincere. Spero proprio di essere io a salire sul primo gradino del podio. Agli Italiani, però, non si sa mai».