Matteo Parenzan, il campione italiano più giovane della storia ora punta a Tokyo 2020
Nel 2017, all'età di 13 anni, è diventato il campione italiano paralimpico più giovane della storia. Un mese e mezzo fa Matteo Parenzan, che è nato a Trieste e risiede a Opicina, è riuscito a ripetersi, confermandosi un atleta in continua crescita. Anche la classifica internazionale riconosce i suoi progressi e lo piazza al 27° posto della classe 6. Alle Paralimpiadi di Tokyo 2020 andranno i primi 15 e a un anno e mezzo dalla chiusura delle qualificazioni sognare è lecito. La vita quotidiana di Matteo, che è affetto dalla nascita da miopatia nemalinica, una malattia neuromuscolare caratterizzata da debolezza muscolare e da ipotonia, ruota attorno a tre punti di riferimento. Il primo è senza dubbio la famiglia, composta da mamma Valentina, papà Michele e dal 19enne fratello Giacomo, studente d'Ingegneria Informatica, per non parlare dei quattro nonni, che, come vedremo, giocano un ruolo importante. Ci sono poi la scuola, che il 15enne triestino frequenta con profitto, e il tennistavolo, con la società dello Sportni Krozek Kras del presidente Igor Milic che da sei anni lo segue amorevolmente.
Matteo ha scoperto il ping pong alle elementari e lo ha scelto, dopo aver praticato il baseball.
«È sempre stato un grande sportivo - ricorda papà Michele - . All'inizio seguiva suo fratello a calcio ed era la mascotte della squadra. Siccome io da giovane avevo giocato a baseball, ho proposto a Matteo quello sport e lo ha portato avanti per un paio d'anni. A un certo momento è diventato impraticabile, perché era necessaria una fisicità e una rapidità che lui non aveva. Il Kras mandava nelle scuole i suoi istruttori per far provare il ping pong e a Matteo è piaciuto subito. Dopo un po' di tempo Ettore Malorgio, il campione paralimpico del Kras, lo ha segnalato al direttore tecnico Alessandro Arcigli, che è venuto a visionarlo in un'occasione in cui avrebbe dovuto vedere anche Giada Rossi. In società ci hanno sempre aiutato molto, non mettendo mai alcun paletto. Quasi tutti i pomeriggi Matteo è in palestra. È un ragazzo determinato, che sa quello che vuole. È consapevole dei suoi problemi, ma anche di avere la possibilità di fare qualcosa di significativo nello sport. I due titoli italiani, i successi ottenuti in campionato contro i normodotati e alcune vittorie internazionali hanno aumentato notevolmente la sua autostima. Anche a scuola se la cava benee al primo hanno del liceo socio-economico che frequenta a Trieste ha avuto quasi la media dell'8».
Al Kras, che ha sede a Sgonico, lo segue da tre anni il tecnico sloveno Dusan Michalka.
«Insieme - spiega il direttore tecnico del Kras Sonja Milic - svolgono dei lavori differenziati, per migliorare la sua tecnica sulle palle alte e con diverse rotazioni. Non potendo Matteo sviluppare la forza, si cerca di puntare sulla sensibilità. Cerchiamo, all'interno del nostro club, di farlo giocare con atleti molto diversi fra loro, sia di attacco sia di difesa, ed equipaggiati con gomme differenti. Dusan lo monitora costantemente e ritiene che sia fondamentale metterlo alla prova con gente migliore di lui. Solo essendo competitivo con pongisti più forti, si può pensare di progredire. Matteo non disputa solo il campionato a squadre paralimpico, ma anche quello cui partecipano i normodotati. Quest'anno è stato impegnato in D2, dove ha vinto 24 partite su 27, e il prossimo lo impiegheremo in D1. Quando è libero lo inseriamo anche in qualche torneo in Slovenia».
Negli ultimi due anni Parenzan ha fatto il salto di qualità.
«Ho intensificato le sedute - afferma - e i risultati si vedono. In settimana, mi alleno tutti i giorni, tranne il mercoledì, e il sabato e la domenica c'è il campionato o qualche torneo. Giocare con atlete come Katja Milic o Eva Carli è molto utile. Anche i ragazzi della mia età e gli altri adulti, comunque, mi aiutano a migliorare. Penso di essere progredito soprattutto nella tecnica, nel posizionamento, nell'approccio alla pallina e nell'abitudine a tirare il colpo dove possa risultare più efficace. Ho capito che devo rimanere vicino al tavolo, giocare d'anticipo, essere attivo e non mettere di là delle palle qualsiasi, ma cercare sempre di creare delle difficoltà all'avversario. Attuare in partita quanto avevamo provato in allenamento e vedere che funzionava è stata una bella iniezione di fiducia».
I due titoli italiani sono stati conquistati superando problematiche differenti:«Il primo dell'anno scorso è arrivato inaspettato. Avevo lavorato molto per raggiungerlo e quando sono approdato in semifinale mi è già sembrato di toccare il cielo con un dito. In finale, sul 2-0 per me e 6-2 nel terzo set, ho iniziato a pensare che mancavano cinque punti alla vittoria contro un avversario forte ed esperto come Raimondo Alecci e ho fatto fatica. Ho subìto la rimonta e poi alla "bella" sono riuscito a farcela. Essere stato il campione più giovane mi ha dato un'ulteriore soddisfazione e al ritorno a casa l'accoglienza dei parenti e la festa che abbiamo organizzato con gli amici mi hanno regalato degli altri bellissimi momenti. Il secondo tricolore è stato ancora più difficile, perché, pur essendo migliorato tecnicamente e anche mentalmente, sentivo la pressione di dovermi ripetere. Raimondo era agguerrito e voleva vincere. Ho perso nettamente il primo set e nel secondo sono andato sotto per 2-0 e ho sbagliato due servizi. Mi sono detto che avrei dovuto reagire e lottare fino in fondo e ce l'ho fatta a recuperare. Quando sono andato in panchina Dusan mi ha dato dei buoni consigli e ho tirato definitivamente su la partita, confermando il titolo».
Ora il sogno è la qualificazione ai Giochi del 2020:
«L'obiettivo è veramente difficile da raggiungere, anche se non ritengo impossibile. Dovrò intensificare ancora gli allenamenti. Sono il numero 27 della classifica e andranno a Tokyo i primi 15. Ci sono dunque dodici atleti davanti a me e sono tutti adulti, che potranno dedicarsi a tempo pieno al tennistavolo, mentre io devo riservare spazio e impegno anche alla scuola. Proverò a qualificarmi con tutte le mie forze e, se non ce la farò, ritenterò la prossima volta. Per fortuna l'età è dalla mia parte».
Ci sarà bisogno dell'aiuto di tutti:
«Anche i miei genitori dovranno fare sacrifici per seguirmi ai tornei. Li devo ringraziare, perché mi hanno sempre assecondato. La mia riconoscenza va anche ai nonni paterni Mario e Maria e materni Lino e Gloria, che si alternano per accompagnarmi agli allenamenti o alle lezioni d'inglese. Mi sostiene molto anche mio fratello Giacomo, anche se i suoi impegni non gli permettono di venirmi a vedere ai tornei. Quando eravamo più piccoli, avere un bambino disabile in famiglia era un po' strano per lui, ma ora è contentissimo di stare con me e fra noi c'è un bellissimo rapporto».