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Estratto del libro di prossima pubblicazione RACCHETTE E ABITUDINI Aneddoti, rituali, scaramanzie di tennisti e pongisti

Di MARCELLA MARCONE

Molte sono le caratteristiche che differenziano il tennis dal tennistavolo, ma certamente una delle più interessanti riguarda il rapporto che il giocatore ha con la propria racchetta. Già il nominarla al singolare indica la differenza: per il pongista esiste “una” racchetta, anche se tutti ne hanno una seconda da usare in situazioni di massima emergenza. Per il tennista ci sono “le racchette” (almeno 6-8 telai), che compaiono in campo dentro al borsone a ogni match, che vengono cambiate spesso nel corso dell’incontro (per esempio prima di servire o di ricevere con le palle nuove). Solo per qualcuno ce n’è una “privilegiata”, da usare nei momenti decisivi; di solito tutte vengono customizzate per renderle il più possibile una uguale all'altra nei parametri fondamentali (peso, bilanciamento, ecc) e quindi non sentire la differenza al momento del cambio.

L’investimento sulla racchetta dunque è molto diverso in uno sport o nell’altro, come dimostra il fatto che per un pongista spaccare la racchetta in un momento di rabbia e di frustrazione è impensabile, mentre molti tennisti hanno con la propria racchetta un rapporto molto aggressivo. Tanto, se anche si spacca in uno scatto d'ira, viene sostituita senza problemi. “E’ l’oggetto indifeso su cui ti scagli se sei frustrato. La palla la tiri, la racchetta la spacchi considerandola la causa dei tuoi errori!”.

È soprattutto nel tennistavolo, più che nel tennis, che la racchetta si fonde completamente con il giocatore, che diventa un piccolo prolungamento del suo braccio, della sua mano, che gli permette di imprimere alla pallina forza e rotazioni. Come diceva un grande campione degli anni 2000 “Ho bisogno di tenerla spesso in mano anche quando non gioco per sentirla più parte di me…per conoscerla sempre meglio, visto che a forza di usarla il sudore della mano impregna il legno di cui è fatto il fusto, ne cambia l’elasticità, come dimostra il diverso rumore all’impatto con la pallina”.

Negli anni '80 il contatto del pongista con la racchetta si è intensificato in quanto prima di ogni incontro si dovevano incollare sul fusto le gomme, che dopo la partita venivano staccate. Questa pratica, che aveva l'obiettivo di migliorare la velocità e l'effetto dell'impatto con la pallina, aumentava la familiarizzazione con la racchetta, l’investimento su di essa, la dipendenza della propria prestazione da un mezzo insostituibile e unico.

Oggi non si "incolla" più per motivi salutistici, legati alla tossicità delle colle che venivano usate. Si è tornati perciò all'uso di racchette "personalizzate" nella scelta del fusto e delle gomme, ma con caratteristiche che restano costanti nel tempo.

In entrambi i periodi comunque non è cambiato “l’amore morboso”, il rapporto ossessivo che molti pongisti hanno sviluppato nei confronti della propria racchetta: raramente prestata ad altri per farla provare, conservata gelosamente in un portaracchette tenuto sempre con sé quando si è in viaggio. “La tengo nel bagaglio a mano, per paura di perderla; ogni tanto la devo controllare, vedere, toccare; non la lascio neanche nella stanza d’albergo per paura che me la possano rubare; l’ho portata con me anche in discoteca, pur di non abbandonarla! È come il fucile per il soldato: in missione non lo si lascia un solo istante”.

Le cure prestate, le attenzioni rivolte alla racchetta pulendole le gomme, tenendola a una giusta temperatura, non facendole prendere aria, sono finalizzate a “tenerla in buona salute perché altrimenti si ammala e una racchetta malata sbaglia troppo, non permette di giocare bene, di vincere!”. Inoltre una racchetta "malata" non può durare a lungo e finisce per dover essere sostituita. Molti giocatori cercano di rimandare il più a lungo possibile questa eventualità che potrebbe condizionare le loro prestazioni o addirittura costituire un tale trauma da decretare la fine della loro carriera; qualcuno riesce a usare la stessa racchetta senza doverla mai cambiare per tutto il periodo in cui fa dell'agonismo.

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