La terza vita di Davide Scazzieri, grande maestro di resilienza
Ci sono persone che fanno fatica a far quadrare i tasselli della loro esistenza. Molti sono coloro che si vedono privati di una vita e sono capaci di costruirsene un'altra. Dall'8 gennaio un uomo eccezionale come Davide Scazzieri ha iniziato addirittura la sua terza vita, dal momento che l'infarto dell'ottava vertebra gli ha negato l'uso delle gambe. Dopo tre settimane in Ospedale a Bologna, è stato ricoverato all'Istituto di Riabilitazione di Montecatone, dove da tempo si spende, con la sua società "Lo Sport è Vita Onlus", per aiutare il recupero fisico e psicologico dei degenti, attraverso il tennistavolo, e ora svolge quattro ore di fisioterapia al giorno. Davide ha potuto iniziare prontamente la riabilitazione a Montecatone grazie al direttore sanitario dell'Istituto, Roberto Pederzini, all'amministratore delegato, Augusto Cavina, al presidente della Fondazione Montecatone Onlus, Marco Gasparri, e al primario dell'Unità Spinale, Jacopo Bonavita. Domenica 19 febbraio ha chiesto un permesso straordinario e avrebbe potuto tornare a casa, per stare un giorno con la sua famiglia. Invece ha scelto di partecipare al torneo nazionale paralimpico di Verona, per essere ancora una volta di esempio.
Ecco come racconta la sua esperienza: «Nell'attività che ho praticato a Montecatone per diversi anni, ho cercato di trasmettere ai pazienti il valore dello sport, soprattutto nella nuova vita, perché lo sport riabilita il corpo e la mente. Dall'8 gennaio scorso anch'io ho una nuova vita seduto in carrozzina e ho avuto l'opportunità di dimostrare con i fatti quello che ho predicato per anni. Dopo appena un mese e dieci giorni dal mio trauma, ho deciso di essere presente a un torneo nazionale di tennistavolo, non per gloria personale, ma per rappresentare un esempio per chi si trova nella mia medesima situazione. Senza falsa retorica, ho vissuto una giornata indimenticabile. Dopo più di vent'anni di gioco in piedi, avvicinarmi a un tavolo in carrozzina mi ha imbarazzato quanto le prime volte in cui ho iniziato a giocare e mi ha riempito di emozioni. Non mi aspettavo nulla dalla prestazione sportiva, l'importante era esserci, raccogliere l'affetto degli amici pongisti, senza l'imbarazzo di questa nuova condizione e mostrare a chi ha timore di uscire che la vita comune si può affrontare con normalità».
Alla fine, come spesso accade quando si gareggia a cuor leggero, è arrivato anche il podio: «Dulcis in fundo, ma ripeto non era ciò che contava nella mia giornata, dalla prestazione sportiva ho raccolto un risultato inatteso, piazzandomi terzo nella prova maschile in carrozzina, che accorpava le classi dalla 3 alla 5. Ora io appartengo a quella intermedia. Sono rientrato a Montecatone la sera, con la medaglia di bronzo al collo, come un adolescente e, quando mi sono sdraiato nel letto 16 della mia stanza H ai post-acuti, invece di essere triste, ero pieno di gioia. Ho pensato che ce l'avevo fatta, avevo vinto perché avevo superato l'imbarazzo di avvicinarmi a un tavolo guardandolo con una prospettiva diversa, perché avevo giocato con la stessa determinazione che avevo quando ero in piedi. Nulla doveva cambiare e, infatti, nulla era cambiato!».
L'ennesima svolta nella vita di Davide: «Se prima ero convinto che "Lo sport è vita", ora ne ho la certezza assoluta e lo predicherò ancora di più ai miei pazienti. Ho letto decine di volte il sito nazionale della FITeT, che mi ha dedicato il titolo dell'articolo e la foto con Carlotta Ragazzini, che ha ottenuto un'ottima seconda posizione nel torneo per esordienti. Anche lei mi sta dando moltissime soddisfazioni, un anno fa era ricoverata e avevo chiesto un permesso speciale per farla stare una notte fuori dall'Ospedale per disputare i Campionati Italiani a Lignano. Fra circa un mese farò la stessa richiesta anche per me, per partecipare ai tricolori e per seguire Carlotta nella sua crescita sportiva. Che emozione!».
Il direttore tecnico paralimpico Alessandro Arcigli, che, da persona appassionata e sensibile, conosce tutto dei suoi atleti, ha voluto ripercorrere per noi le prime due vite di Davide. «Già una volta, ha avuto il coraggio e la forza di ricominciare da dove era stato costretto a fermarsi. È stato una promessa del nostro ciclismo, che dai 6 ai 17 anni ha praticato a livello agonistico, fino a quando, dietro una curva in discesa, si è schiantato contro una mietitrebbia non segnalata, con la lama anteriore ad altezza uomo. Da quel momento la sua vita è cambiata, Davide è sopravvissuto quasi per miracolo, ma il suo corpo ha subito gravi danni, fra cui fratture alla mandibola e al gomito e la gamba sinistra quasi completamente tranciata. Recuperare il morale a 17 anni, sapendo di non poter più vivere la stessa vita degli altri, non è stato facile. Davide, però, nonostante il gomito che non si piega completamente e le gambe accorciate (quella tagliata nell’incidente di 8 cm e quella sana di 4 cm per compensare la dismetria), ha comunque saputo prendersi, con grinta e tenacia, tutte le sue soddisfazioni, anche nello sport. Furono anni difficili, interventi a non finire, sorretto dalla voglia di rimettersi in gioco e di tornare a competere in qualche sport e il tennistavolo è stata la sua salvezza».
Prima, però, ha dovuto lottare: «Alcuni mesi dopo l’incidente e dopo numerosi interventi, per stabilizzare le fratture, compiuti dal dott. Guglielmo Vicenzi, la sua seconda mamma come ama definirlo, Davide è stato trasportato all’Ospedale Codivilla Putti di Cortina, dove sono specializzati nella cura delle osteomieliti croniche, ma non sono riusciti a ottenere miglioramenti. A quel punto il dott. Giancarlo Caroli, primario del reparto di rianimazione dell’Istituto Ortopedico Rizzoli, gli ha consigliato di contattare il dott. Longobardi per lavorare con l’ossigenoterapia nell’infezione. È stato incredibile vedere come, dopo l’inutile viaggio a Cortina, le poche sedute di terapia iperbarica stavano già dando ottimi risultati nella cura dell’infezione. A quel tempo la terapia iperbarica non era riconosciuta dal Sistema Sanitario Nazionale, era una terapia sperimentale, a pagamento, poco usata e per la quale non esisteva un protocollo. Purtroppo non aveva molte alternative, perciò i suoi genitori, Bruno e Loretta, decisero di tentare questa strada, nonostante l’investimento di denaro consistente per quei tempi, e fecero sacrifici incredibili per curarlo. Per fortuna è andata molto bene. La prima volta l’osso non era ancora ben attaccato e ha fatto 3-4 cicli di terapia per l’osteomielite che, seppur molto lentamente, è guarita!».
Ecco dunque l'approdo al tennistavolo: «Quando lo sport è una parte importantissima della tua vita fin da bambino è difficile abbandonarlo. Nel 1993, quasi per caso, Davide ha iniziato a giocare a ping pong. La prima volta che ha provato a tenere in mano una racchetta per giocare con gli amici si teneva su con la stampella, ma si è divertito moltissimo. Qualche tempo dopo, per strada, ha visto un cartello su cui c’era scritto che tenevano dei corsi in un circolo e ha deciso di iscriversi. Il signore che insegnava, Giovanni Martini, a cui sarà grato per tutta la sua vita, lo ha preso sotto la sua ala protettiva e da lui ha imparato moltissimo. Si è accorto subito che avrebbe tratto qualcosa di positivo da quell'esperienza e infatti pian piano ha incominciato a risentire la gamba. L’impegno fisico ha rimesso in moto il suo corpo e, da quel momento, ha iniziato ad allenarsi sempre di più e dal 1994 ha fatto del tennistavolo una ragione di vita. A volte sostenere il peso sulla gamba era difficile e gli è capitato di cadere, ma si è sempre rialzato. Se fino a oggi aveva potuto camminare senza stampelle è merito soprattutto del tennistavolo. Molti sacrifici, ma ne è valsa la pena dato che ha ottenuto risultati eccezionali, fra cui le vittorie ai Campionati Europei a squadre nel 2005 e nel singolare ai Campionati Mondiali Iwas 2007 di Taiwan».
Arcigli continua così: «Davide, però, nel 2010 era nuovamente su un letto del reparto di ortopedia dell’ospedale di Imola, per affrontare un nuovo intervento. Girava con le stampelle, il suo obiettivo era ritornare a camminare senza sostegni e, quanto prima, a giocare a tennistavolo. Ha affrontato enormi sacrifici con interminabili sedute fisioterapiche presso il Medical Center di Ravenna, spinto da una volontà e da una tenacia fuori dall’ordinario. E così ha nuovamente bruciato le tappe. È tornato di nuovo in corsa e ha partecipato alle Paralimpiadi di Londra (come non ricordare le 80.000 persone alla cerimonia di apertura, regina Elisabetta compresa, e le migliaia di persone che ogni giorno lo applaudivano allo stadio del tennistavolo) dove ha ottenuto un brillante quinto posto a squadre. Subito dopo ha deciso di dedicare la sua esperienza per coinvolgere nuovi atleti nel mondo dello sport paralimpico».
Il dt ha una certezza: Davide è resiliente! «La resilienza non è una qualità congenita, è costituita da comportamenti, pensieri e azioni che è possibile apprendere e sviluppare in relazione anche alle proprie esperienze e ai propri vissuti. Essere resilienti significa essere duttili e flessibili, accettando di sbagliare, sapendo di poter rivedere e correggere le proprie azioni. Alcuni tipi di attività gradevoli accrescono la forza di resilienza: il gioco, per esempio, contribuisce a sviluppare capacità fisiche, autocontrollo e conoscenze, oltre a migliorare la salute. Prendersi il tempo per ridere, apprezzare i momenti piacevoli e godere delle piccole cose sono atteggiamenti che influiscono sul cervello e sul sistema nervoso, potenziando le abilità di problem solving e questo, a sua volta, rafforza la resilienza. Chi è resiliente non si lascia abbattere da una sconfitta, ma ne esce rafforzato, analizza i suoi errori e trova le giuste soluzioni per tornare a vincere».
Grazie, dunque, Davide, grande maestro di vita.