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RAIMONDO ALECCI E IL COLPO DI CODA IN COSTA RICA CHE LO HA PORTATO A RIO

Di ROBERTO LEVI

La Copa Costa Rica, che si è disputata dal 15 al 20 dicembre del 2015 rimarrà per sempre nella memoria di Raimondo Alecci. Il pongista catanese, che nella vita lavora per una società di call center, a settembre sarà alle Paralimpiadi e se si è qualificato a Rio deve ringraziare il torneo sudamericano, che è stato l'autentico colpo di coda della sua stagione.

Raimondo, è stata la forza della disperazione a portarti fin laggiù?

«In effetti ero fuori dai Giochi. Quella era la mia ultima carta e ho pensato di giocarmela. La Federazione non aveva inserito quell'appuntamento nel programma e allora mi sono autofinanziato la trasferta, con la collaborazione della mia società, l'Albatros Zafferana».

Com'è andata l'avventura?

«Sono partito dall'Italia senza tecnico ed è stato il mio primo viaggio all'estero da solo. Ero anche un po' preoccupato, ma una volta lì mi sono ambientato e sono anche riuscito a ottenere dei bei risultati. Nel singolare ho vinto l'oro, superando il girone come primo e nel tabellone battendo nei quarti il costaricano Arguello Garcia, in semifinale l'israeliano Bobrov e in finale il britannico Perry».

Quella vittoria non bastava però per conquistare il pass paralimpico?

«No, e mi ero già preparato all'eventualità, decidendo di partecipare alla gara a squadre in classe 8, per fare un maggior numero di punti. Nella partita contro la Svezia ho sconfitto per 3-2 Emil Andersson, già campione iridato e bronzo paralimpico a Londra, lasciando nell'incredulità i tecnici della altre nazioni presenti, che mi hanno fatto i complimenti. Quel risultato mi ha garantito il biglietto per il Brasile».

Prima di quell'impresa cosa non aveva funzionato nella tua stagione?

«Avevo deciso di passare dalla puntinata all'antitop e ho impiegato un po' di tempo a digerire questo cambiamento È stata una scelta rischiosa, effettuata oltretutto in un momento delicato per la qualificazione paralimpica. Alla fine comunque ha pagato. Ora mi trovo molto meglio e sono più sicuro nel mio gioco».

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Cosa ti aspetti dalla partecipazione a Rio?

«A mio parere tutti e 15 possiamo vincere o perdere. Le sorprese non sono mai mancate e non ha mai vinto il numero 1. Se a Londra sono arrivato quinto, con quattro anni in più d'esperienza posso puntare non dico all'oro, anche se ci proverò, ma almeno al podio. Quello sarà il mio obiettivo e non temo la pressione. Stare sotto i riflettori mi dà la carica».

A squadre sarai con Amine Kalem?

«Sì e sono convinto che ci troveremo bene. Abbiamo anche la stessa racchetta. Saremo in classe 9 e per me sarà una novità, ma non ho paura di nessuno. Anzi, rispetto alla mia categoria troverò un gioco più aperto e sarà un vantaggio. Sono abituato a giocare in campionato con i normodotati. Quest'anno ho iniziato in C1, con il 75% di vittorie, e poi sono stato spostato in B2, dove ho totalizzato quasi il 50% dei successi, battendo anche avversari di categoria superiore».

Art 03 Raimondo Alecci rdmCon Kalem inizierete gli stage a giugno?

«Esattamente e fino ad allora ci alleneremo con un programma nelle nostre sedi. Personalmente sono seguito tre volte alla settimana dal tecnico Fabrizio Puglisi, mentre mi fa da sparring Gianluca Merlino, il figlio del presidente della mia società».

I tuoi inizi nel tennistavolo sono stati in carrozzina?

«Ho cominciato in carrozzina a nove anni e per due ho giocato in classe 5, poi sono stato dieci anni fermo per finire gli studi e ho ripreso un altro anno e mezzo sempre in carrozzina. I risultati, però, non arrivavano e, siccome a me piace vincere, si è pensato di salire in classe 6. Anche il direttore tecnico Alessandro Arcigli aveva qualche dubbio, ma alla fine abbiamo vinto la scommessa insieme».

Come va la tua attività politica?

«Bene, sono consigliere comunale a Valverde da quasi tre anni e mi occupo del sociale e dello sport. Ogni estate a luglio organizzo un torneo all'aperto di tennistavolo giovanile e amatoriale, per normodotati e paralimpici. È anche un'opportunità per i miei compaesani, che non possono seguirmi quando gioco all'estero, per vedermi come sono da sportivo».

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