Beppe Dossena e il tennistavolo: «Ricordo ancora le sfide a Spagna ’82»
È uno dei personaggi più noti del calcio italiano, capace in carriera di prendersi parecchie soddisfazioni sia come atleta, nelle squadre di club e in Nazionale, sia come allenatore, in giro per il mondo. Ora Giuseppe Dossena, detto Beppe, è soprattutto il presidente de “Il Cerchio Azzurro”, la società di mutuo soccorso che è stata fondata per aiutare gli sportivi ed ex sportivi in difficoltà. Il cerchio identifica la solidarietà e l’amicizia e azzurro è il colore del nostro sport.
Dossena, qual è stato il suo motivo ispiratore?
«L’idea si è sviluppata parlando con ex atleti e riscontrando i drammi conseguenze d’infortuni o di altri eventi sfavorevoli. Mi sono reso conto che è un aspetto del mondo dello sport che non è assolutamente presidiato e che è lasciato al buon cuore e a gesti isolati».
Si tratta di un fenomeno ampio?
«I casi che vengono alla luce, per motivi di pudore e vergogna, sono limitati, ma i numeri non ufficiali ci dicono che dovremo affrontare un’emergenza massiccia. Prima d’iniziare ad approfondire i problemi, ci stiamo preoccupando di preparare le strutture per le accoglienze e per sostenere le persone che ne avranno bisogno».
Chi vi sta aiutando?
«I nostri partner sono le Terme di Genova e di Saint Vincent, Villa Stuart e General Broker Service Spa e aderiranno anche la Fondazione Monti e l’Idi di Roma. Stiamo allestendo un progetto pilota in Liguria. A breve incontreremo i presidenti del Coni Regionale e dei Comitati delle varie Federazioni e individueremo le persone che necessitino del nostro aiuto. Potremo contare sulla collaborazione della Clinica Montallegro e di Biomedical, che è un centro d’eccellenza in Italia per la diagnostica per immagini e di laboratorio e, assieme all’attività sociosanitaria, metteremo a disposizione dei buoni pasto gratuiti. In tal modo inizieremo a testare la macchina».
Avete anche un Comitato Etico?
«Dobbiamo insediarlo e coinvolgerà Antonio Bulgheroni, presidente della Lindt Italia, uno dei tre saggi di Confindustria, oltreché grande uomo di sport, Claudio Pecci, responsabile sanitario del Centro Ricerche Mapei, e Fabio Pigozzi, uno dei due medici italiani presenti nella Commissione Salute, Medica e Ricerca della Wada, l'Agenzia Mondiale Antidoping. Siamo anche patrocinati dalla Uefa e delle relazioni internazionali si occuperà Nicola Tracchia, un imprenditore italiano che vive a Nyon ed è stato per otto anni capo del protocollo della Uefa».
Ci saranno novità nel Comitato Esecutivo?
«Certamente entrerà Andrea Abodi, presidente della Lega Serie B del calcio, e altri ingressi riguarderanno soprattutto aziende, che ci daranno valore aggiunto».
Vi interesserete anche della nostra Elisa Trotti?
«Ci siamo già incontrati con il presidente Franco Sciannimanico e dovremo rivederci, per definire nel dettaglio cosa potremo fare per dare il nostro contributo».
Qual è il suo rapporto con il tennistavolo?
«È molto intenso, perché all’oratorio a Milano, quando ero ragazzo, prima veniva il calcio e poi, fra una partita e l’altra, ci davano al ping pong. L’ho giocato da sempre e mi sono rimasti dei bellissimi ricordi. È uno sport aggregante, non necessita di grandi spazi, di attrezzature particolari o di molte persone e lo possono praticare tutti».
Lo giocavate anche fra calciatori?
«Ai Mondiali del 1982 in Spagna ci furono sfide roventi in albergo a Barcellona. Franco Selvaggi si spacciava per un grande campione, ma quasi sempre veniva regolarmente battuto. Anche Paolo Rossi, Antonio Cabrini e Claudio Gentile erano appassionati. A proposito di tennistavolo, ho parlato con il presidente Sciannimanico e in una prossima occasione in cui ci ritroveremo per giocare a golf metteremo anche un tavolo e sarà una bella opportunità di competizione».
Perché molti ex calciatori praticano il golf?
«È un modo per mantenersi in forma senza gravare sul fisico, per questo è così gettonato. A Torino ho organizzato un Europeo di golf per ex calciatori e abbiamo disputato Italia-Francia a Parigi. Siamo campioni europei in carica e il prossimo anno organizzeremo il Mondiale. Con gente come Nedved, Shevchenko, Van Basten e molti altri siamo dei veri malati di golf, che si alzano alle sei del mattino, cosa che magari non facevano quando giocavamo a calcio. Degli italiani sono con noi Del Piero, Zola, Panucci, Vialli, Mauro, Tassotti, Bia, Lombardo. Ogni giorno si aggiunge qualcuno».
A quali ricordi calcistici è rimasto più legato?
«Sembrerà incredibile, ma li ho rimossi dalla memoria, non so se per una forma di difesa per non soffrire o perché pensavo che ci fosse altro più importante. Ho dedicato a quella vita parecchi anni e ora la considero molto distante».
In Nazionale ha avuto un rapporto travagliato con i Mondiali, anche se in Spagna li vinceste.
«In quell’occasione non giocai, ma il valore di chi fu impiegato poco o non lo fu affatto ha permesso ai titolari di allenarsi ad alto livello e di essere pronti al massimo in occasione delle partite»
Come tecnico si è sentito un po’ un globetrotter?
«In effetti ho girato per il mondo è ho fatto esperienze bellissime e anche gratificanti sul piano personale. Il Ghana mi è rimasto impresso, perché è stato la prima e avevo quattro Nazionali da seguire. Sono stati due anni fantastici e impegnativi e sono stato anche dieci mesi senza tornare in Italia. Al Paraguay sono stato il vice di un uomo straordinario come Cesare Maldini e poi c’è stata anche la Libia con Gheddafi. Il mio unico cruccio in quegli anni è di non aver portato con me una telecamera. Ne sarebbe venuto fuori un documento interessante».
Il calcio fa parte del suo passato?
«No, perché, per come intendo io la vita, le porte sono come quelle dei grandi alberghi di una volta, che continuano a girare e sono sempre aperte. Se ci saranno progetti che m’interesseranno e m’incuriosiranno, partirò e andrò. Nella mia vita precedente credo di essere stato un gitano».